Nucleare civile, Grossi (Iaea): “L’Italia ha una grande competenza e può giocare un ruolo importante”

Nucleare civile, Grossi (Iaea): “L’Italia ha una grande competenza e può giocare un ruolo importante”

Nucleare civile, Grossi (Iaea): “L’Italia ha una grande competenza e può giocare un ruolo importante”


“L’Italia ha una grande competenza in fatto di energia nucleare e può giocare un ruolo importante in questa partita”. Rafael Mariano Grossi, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) è a Roma per incontrare la premier Giorgia Meloni. Oggetto del colloquio: le crisi internazionali che vedono l’Agenzia in prima linea, dal conflitto russo-ucraino, con le centrali nucleari di Kiev possibile bersaglio di bombardamenti, all’Iran che ostacola le ispezioni nei siti sospettati di essere utilizzati per arricchire l’uranio (e quindi costruire ordigni atomici). Ma a Palazzo Chigi Meloni e Grossi parlano anche del possibile ritorno del nucleare civile per produrre energia nel nostro Paese. Con uno sguardo al futuro, alla fusione che promette di soddisfare fabbisogni elettrici crescenti senza emettere gas serra e riducendo drasticamente le scorie radioattive. “Naturalmente sono gli italiani a dover decidere. La Iaea può mettere a disposizione il suo know how”, avverte il diplomatico argentino.

Direttore generale, ha l’impressione che il governo italiano faccia sul serio riguardo al ritorno al nucleare?

“Le iniziative e la visione del governo sul piano energetico sono interessanti. E ci sono state le mozioni del Parlamento, importanti perché impegnano il governo a fare qualcosa. Sia sulla fissione che sulla fusione”.

Cominciamo dalla fusione. Esistono molti progetti, compresso quello della americana Commonwealth Fusion Systems cui partecipa l’italiana Eni, ma c’è chi non crede che il traguardo si possa tagliare in pochi anni.

“Il processo sarà lungo, ma meno di quanto si immagini. Ho visitato la Commonwealth Fusion Systems e loro si danno il 2025 come traguardo per ottenere la fusione. Sono esperti che stanno costruendo una grande infrastruttura, non si tratta di chiacchiere da bar. Solo negli Usa sono stati investiti sei miliardi di dollari in questo campo. Quello che manca è un coordinamento che permetta alle nazioni interessate di prendere parte a questo processo. E l’Italia, ripeto, pur essendo uscita dal nucleare, conserva grandi competenze: ogni volta che visito un laboratorio per la fusione mi ritrovo circondato da esperti italiani”.

Il governo, però, ha detto esplicitamente che vuole riprendere in considerazione anche la tradizionale fissione. Ne avete parlato con la premier Meloni?

“Abbiamo parlato delle nuove tecnologie di fissione, come gli Small modular reactors (Smr) e i microreattori. Credo che la scelta più realistica per l’Italia sia proprio quella di puntare su piccole centrali con piccoli reattori modulari. Sarebbe più logico sul piano politico e degli investimenti”.

In quel caso quale contributo potrebbe dare la Iaea?

“Possiamo essere di grande utilità perché l’Agenzia ha una ‘piattaforma Smr’ che fa il punto dello stato dell’arte in questo settore: esistono tra 70 e 80 progetti, anche se è chiaro che non tutti vedranno la luce. Ma la nostra mappa mondiale degli Smr serve a costruire eventuali partnership: l’Italia potrebbe valutare la possibilità sia di avere Smr locali, sia di lavorare con Smr all’estero, in Francia o negli Usa per esempio”.

E i microreattori?

“E’ una opzione ancora più facile, perché si adattano alle singole necessità concrete, per esempio quelle di una grande azienda o di un data center. Il mondo va verso una elettrificazione importantissima e il nucleare è uno strumento molto flessibile”.

Quando si discute dei tempi necessari a una eventuale ripartenza del nucleare si cita spesso il caso degli Emirati Arabi Uniti, che in 12 anni sono passati dal non avere un ingegnere nucleare ad allacciare tre reattori alle rete elettrica. Ma Italia e Emirati non sono realtà completamente diverse? Ha senso il paragone?

“In realtà, l’Italia ha il requisito più ricercato: personale qualificato, tecnologia, competenze. Gli Emirati, che hanno fatto qualcosa di ammirevole, ma hanno dovuto acquisire queste capacità. Forse l’Italia ha più bisogno di ricostruire una supply chain nucleare. Ma soprattutto c’ da costruire un consenso sociale. E anche in questo caso l’Agenzia può giocare un ruolo importante”.

In che modo?

“L’Agenzia ha prestigio scientifico, ha la capacità di valutare le opportunità, le questioni connesse alla sicurezza e alla protezione dell’ambiente. Abbiamo tanti programmi di informazione per gli stakeholder e per la società. Per esempio organizziamo visite nei depositi di scorie svedesi e finlandesi, per mostrare come funzionano e come le comunità locali convivono positivamente con quelle infrastrutture”.

Il nucleare continua però a spaventare. Chi si oppone fa notare che le centrali ucraine vengono sfiorate dai colpi di artiglieria, l’Iran è sospettato di costruire armi atomiche e l’incidente di Fukushima ha ancora strascichi, con il rilascio in mare delle acque contaminate. Cominciamo da Zaporizhia: qual è la situazione nelle centrale contesa?

“La nostra missione continua e continuerà fino alla fine della guerra. Con tutta la prudenza dovuta al fatto che c’è un conflitto in corso, penso di poter dire che abbiamo giocato un ruolo di dissuasione. Al Consiglio di sicurezza Onu ho stabilito cinque principi, tra cui non attaccare una centrale nucleare, non militarizzarla, non interrompere il flusso di energia, ecc. Finora sono stati rispettati. La mia idea iniziale era più ambiziosa: definire una zona di esclusione delle attività militari, ma con l’evoluzione della guerra è diventato impossibile, perché nessun comandante avrebbe accettato, dall’una e dall’altra parte. Quindi ho cambiato strada, passando da un approccio territoriale a un approccio comportamentale. E abbiamo assistito a unachiara diminuzione di attacchi nella zona della centrale”.

I rapporti con l’Iran?

“Con Teheran la situazione è complessa: c’è una dichiarazione congiunta firmata a marzo, ma da maggio in poi la collaborazione ha rallentato fino quasi a fermarsi. E questo mi preoccupa molto: noi siamo ancora presenti in Iran, ma con la crescita del programma iraniano sarebbero dovute crescere anche le ispezioni. Inoltre, gli osservatori di altri Paesi dell’area ne sono coscienti e mi dicono: ‘Se la situazione continua così anche noi dovremo fare qualcosa’. Io dico sempre no e moltiplico le iniziative per evitarlo”.

L’attacco di Hamas a Israele complica le cose?

“Certo, la tensione è aumentata. E ci sono anche voci che parlano di opzione nucleare. Il lavoro dell’Agenzia diventa più urgente”.

Per finire Fukushima. Il suo via libera al rilascio in mare dell’acqua contaminata le ha attirato molte critiche.

“Naturalmente prendo sul serio le preoccupazioni coreane e cinesi e siamo in contatto per trovare soluzioni. Comunque siamo riusciti a far accettare al governo giapponese una nostra iniziativa, che è invasiva e anche innovativa. Per la prima volta la Iaea allestisce un sistema di analisi indipendenti. Non ci accontentiamo di campioni prelevati da altri: abbiamo aperto un ufficio e un laboratorio a Fukushima e lì conduciamo i nostri monitoraggi dell’acqua”.

Con quali risultati?

“Per ora le tracce di trizio sono talmente basse che è difficile identificarle. Ma mai dire ‘missione compiuta’, fino all’ultima goccia”.



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[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2023-10-18 18:28:07 ,www.repubblica.it

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